Quale sia stata la motivazione che ha spinto Matteo Salvini ad andare fino in Polonia è difficile da comprendere ora, dopo lo “schiaffo” ripreso e diffuso sui social. Ma che l’abbia fatto convinto di trovare un ambiente favorevole, che stesse cercando di slegarsi dall’abbraccio che lui stesso ha fatto a Putin o che ci sia dell’altro, il risultato comunicativo (ad oggi) della scena in cui il Sindaco di Przemysl gli consegna la maglia con l’immagine di Putin è stato pessimo.
Non è la prima volta che delle persone che lo contestano e lui che non la prende benissimo: fin dall’inizio della sua ascesa, il leader della Lega ha infatti portato argomenti e tenuto comportamenti divisivi, ma questa volta sembra diverso.
Qui voglio provare a vedere se ci sono stati dei cambiamenti e quali effetti possano aver prodotto.
I due aspetti da considerare
Qualcosa, effettivamente, è cambiato. Ma per provare a rendere utile questo contenuto dobbiamo per forza allargare il campo, uscire dalla questione specifica e prendere il leader della Lega come esempio per affrontare due aspetti: la velocità della sua ascesa e il ruolo determinante del contesto.
Senza questo, rischieremmo di entrare nel campo della tifoseria e non ne caveremmo nulla. Quindi, avanti.
Più veloce è l’ascesa, più veloce può essere la caduta
La crescita del consenso di Matteo Salvini è stata quasi verticale e ha trascinato dietro di sé l’intero partito. Il problema, però, è che spesso, in nome di questa velocità, si sacrificano alcuni passaggi fondamentali e non si lasciano sedimentare le idee, preferendo invece una sovrapproduzione di contenuti e proposte.
Il primo punto è dunque senza dubbio la mancata creazione di frame (ovvero quelle cornici attraverso cui leggere la realtà) credibili: se ci guardiamo indietro, infatti, l’unica vera lente che si è fissata nell’immagine collettiva riguarda i migranti. Molto (non tutto) del resto appare invece più confuso e sfumato. E se alcuni di questi argomenti hanno fatto presa sugli elettori, molti altri non ha convinto fino in fondo il partito, che ad ogni tentennamento non perde l’occasione di farlo notare.
Una comunicazione rapida e che mira non ad accompagnare le persone ma ad assecondare i loro aspetti emotivi ha poi un altro difetto: ti costringe ad alzare sempre più il tiro. Solo che alzare il tiro non è una cosa che puoi/potrai fare per sempre: prima o poi ti ritroverai nella poco invidiabile posizione di essere esattamente sotto la tua linea di fuoco.
È innegabile che questo tipo di comunicazione possa favorire una rapida ascesa, ma è altrettanto vero che rischia di fiaccarsi nel lungo periodo, lasciandoti a secco di argomenti o, peggio, costringerti a repentini cambi di opinione pur di comunicare.
Fare i conti con il contesto
Ma c’è un’altra ragione che può concorrere a indebolire la comunicazione di chi sale così velocemente e cioè un altrettanto rapido mutamento di contesto.
I cambiamenti di questi due anni hanno portato a nuovi scenari in grado di scombinare i piani di tutti quanti e, mentre l’attenzione delle persone è stata catturata da argomenti diversi da quelli a cui eravamo abituati, anche le narrazioni dei politici e dei partiti sono state messe a dura prova.
Prova a fare mente locale: in questi due anni tra pandemia e guerra, quale livello di priorità ha avuto/ha/avrebbe il cornerstone di Salvini e, cioè, tutta la questione migranti.
Ma perché questa volta ha fatto più rumore?
Cambiare idea è umano e, soprattutto, fa parte della naturale vita di un politico. Quindi non è tanto la giravolta ad aver contribuito alla risonanza dell’evento, rendendo così forte la brutta figura in Polonia.
Alla base ci sono invece diverse concause; nubi che si addensavano da un po’: Salvini si sta trovando in un momento in cui i principali frame che ha offerto alle persone sono caduti per un motivo o per un altro e, senza quelle chiavi per leggere la realtà, diventa tutto più difficile.
La scena in Polonia, quindi, assume il ruolo di fotografia del momento e ci restituisce ad oggi qualcosa di molto diverso da un sicuro “capitano” al timone della sua nave, sia per il suo linguaggio del corpo che per l’impatto mediatico.
Come ne esce (se ha bisogno di uscirne)
Più importante di archiviare la figura di questi giorni sarà riuscire a costruire una nuova linea. C’è una buona probabilità che, con l’andare del tempo e con il supporto di molti militanti, quello scivolone internazionale venga in qualche modo derubricato e finisca nel dimenticatoio, ma quello a cui dovrà guardare (e lo starà certamente facendo) è il futuro. Presto o tardi dovrà scegliere se cambiare rotta o accelerare il più possibile, sperando che non ci sia un muro.
Perché questo post
Le ragioni di questo post sono da ricercare nel desiderio di mettere a fuoco le priorità di una comunicazione politica sensata, orientata al marketing elettorale ma soprattutto alla costruzione di un consenso duraturo. E, tra queste, un ruolo centrale è giocato proprio dai due fattori che abbiamo preso in considerazione usando come spunto la visita di Salvini in Polonia.
Da un lato abbiamo un processo governabile, cioè la costruzione delle lenti attraverso le quali far vedere il mondo: è una strada lunga, tortuosa e complicata, ma senza di essa è praticamente impensabile stare nella partita sul lungo periodo.
Dall’altro c’è il contesto, sul quale non abbiamo possibilità di intervento ma del quale dobbiamo considerare la mutevolezza. E anche qui, avere una narrazione solida e coerente (la narrazione, non necessariamente l’opinione) è quasi sempre l’unica bussola per uscire dalla tempesta.
Il suggerimento che ti lascio, che poi è il punto di partenza delle mie consulenze, è di non cedere alle sirene della gloria fulminea. Se anche a quei livelli il rischio di fallimento è alto, figuriamoci all’interno di contesti locali.
Costruisci il consenso giorno dopo giorno, passo dopo passo.